Giornalino d'istituto Euridice

Capitolo 1 : Flusso di pensieri

Messaggio in bottiglia

Indice

Capitolo 1

Flusso di pensieri

Capitolo 2

Un incubo vissuto due volte

Capitolo 3

Diario di viaggio, un arduo viaggio

Capitolo 4

Fine di una vita, inizio di un’avventura

Capitolo 5

Messaggero del fato

Capitolo 6

Una spia Cartaginese

Capitolo 7

Il porto di Neapolis

Capitolo 8

In balia del mare e del fato

Capitolo 9

Le ali arrestano il volo

Capitolo10

Parole di amore vero

Capitolo11

Un bianco gabbiano

Capitolo 1

Flusso di pensieri

E’ il quinto giorno di Toth ( del 207 a.C.), l’inverno è inoltrato e anche qui a Cartagine enormi nubi ingrigiscono il cielo, nascondendo un sole che non ha voglia di risplendere. Tutto è grigio e cupo, ha piovuto tutta la notte sui tetti delle abitazioni del quartiere di Birsa, detto “Quartiere di Annibale”, nonostante sia sotto il mio controllo, esattamente come tutti i domini conquistati che io ho cura di salvaguardare mentre mio fratello maggiore Annibale si prende la gloria. Egli sbaraglia i Romani e rifila a me l’umile ruolo di custode, funzione che un qualsiasi altro strategoi (*generali eletti annualmente tra le famiglie aristocratiche) potrebbe svolgere al mio posto, liberandomi da vincoli che mi impediscono di far emergere il mio valore nell’attacco militare e di adempiere ai doveri per cui sono nato: dimostrare di essere all’altezza della mia famiglia, i Barak.

No… no, forse Annibale vuole solo proteggermi, in fondo sono suo fratello minore, forse non coinvolgermi in pericolose battaglie è soltanto una scelta grazie alla quale lui possa essere sicuro della mia salvezza.

In ogni caso non è giusto, non mi deve tarpare le ali, ora sono un uomo, ho 28 anni e sono pronto a stare al suo fianco, combattere con lui. Ma che assurdità! Sono un illuso, la verità è che lui è superbo, tracotante ed egoista, vuole tutto il successo per sé, in fondo l’ha già ottenuto: è stato il primo a riuscire davvero a bloccare i Romani e metterli in seria difficoltà. Questo è mio fratello, è sempre stato così, ha sempre avuto un grande bisogno di dimostrare di essere come nostro padre se non meglio, ha sempre ritenuto fondamentale dimostrare di non avere paura di nulla, di essere un vero eroe senza timore. Fin da quando eravamo fanciulli, io vivevo all’ombra delle sue prodezze, ero invisibile agli occhi di mio padre, che probabilmente mi riteneva inutile; ma non era neanche colpa sua in fondo: l’unico colpevole era Annibale che catalizzava l’attenzione di tutti mettendomi da parte. Parlo al passato riferendomi all’infanzia, ma posso confermare che oggi non sia cambiato nulla.

Perfino Magone, che è l’ultimo nato, il fratello minore, in fondo alla lista degli eredi, riveste ruoli maggiormente rilevanti rispetto ai miei. Il ventunesimo giorno di Pahopi ( del 218 a.C.) ottenne addirittura il comando delle truppe scelte che costrinsero i Romani a ritirarsi sull’Appennino a causa di una dura sconfitta presso il fiume Trebbia. Mio fratello Magone giocò un ruolo fondamentale e la sua figura ed il suo nome furono ricoperti di gloria ed onore. Io invece non posso dire altrettanto riguardo al mio nome, in fondo non sono nulla, non ho mai fatto niente di davvero eroico e quell’egoista di Annibale non mi ha mai concesso le occasioni necessarie e non mi ha mai amato come un fratello…. 

O forse sì, non lo so più nemmeno io, non so cosa pensare, so solo che gli ho sempre voluto bene e continuo a volergliene; forse in tutto questo lui sta diventando solo il mio capro espiatorio…Forse se non mi sento all’altezza della mia famiglia è perché non lo sono e la grandezza di Annibale ne è soltanto la dimostrazione. In fondo credo che anche lui voglia solo il mio bene, ha sempre voluto solo questo. Forse quel giorno in cui Amilcare, nostro padre, e Asdrubale per la prima volta ci portarono con loro in spedizione verso le Alpi (nel 237), Annibale mise un’erba lassativa nella mia zuppa mattutina soltanto per impedirmi di andare con loro, il suo unico obiettivo era proteggermi dalle sanguinose ed inevitabili battaglie. O forse sono proprio un ingenuo e la mia stupidità mi rende cieco: forse Annibale l’ha fatto per poterci andare da solo e dimostrare anche in quell’occasione il suo valore. Però poi il giorno seguente, quando, avendo ripreso le forze, presi parte alla battaglia, lui mi salvò la vita: si fece ferire al posto mio dai crudeli Romani…

Io gli dovrei essere grato, gli dovrei essere debitore, e invece sono qui a cercare sempre un doppio fine nei sacrifici che lui ha fatto per me. Sono confuso, ma una certezza ce l’ho: io amo mio fratello e lui ama me, ciò che è accaduto durante l’infanzia non deve essere motivo di pensieri insulsi ed errati da parte mia. In mezzo a tanti dubbi ho solo un’altra certezza: Annibale è in pericolo e domattina devo partire per soccorrerlo, è il momento giusto per dimostrare le mie potenzialità, sarebbe la mia rivincita. In verità non credo di farlo per mio fratello, lo faccio per me e per mio padre, ma soprattutto per la patria. Annibale, in fondo, non si merita nulla.

Stella Ferla – 3D Scientifico