Giornalino d'istituto Euridice

RIVOLUZIONE NELL’EVOLUZIONE

Nobel per la medicina a Svante Pääbo

Svante Pääbo. Questo è il nome dello scienziato che quest’anno è stato premiato con il Nobel per la Medicina e la Fisiologia; ma chi è costui? E, soprattutto, che cosa ha fatto di così rivoluzionario?

Svante Pääbo è un ricercatore svedese e attualmente è direttore del dipartimento di genetica all’Istituto Max Planck per l’Antropologia evoluzionistica di Lipsia, in Germania. Ora, però, facciamo un passo indietro per capire meglio com’è iniziata la carriera di questo studioso straordinario. Il suo percorso universitario mai avrebbe portato a pensare che si sarebbe occupato di genetica; infatti egli studiò storia della scienza ed egittologia all’Università Uppsala e fu proprio la sua passione per il mondo egizio a farlo avvicinare alla biologia molecolare: decise di analizzare il DNA di una mummia. Da qui, non abbandonò più la genetica, ma nemmeno la sua passione per l’antichità, come dimostra il fatto che inventò una vera e propria nuova branca della scienza: la paleogenomica. Questa disciplina si occupa del sequenziamento e dell’analisi di DNA antico, detto aDNA (dall’inglese “ancient DNA”); il lavoro del ricercatore svedese, in particolare, si focalizzò sullo studio del DNA degli uomini preistorici, arrivando perfino a scoprire una nuova specie di Homo… ma, tempo al tempo, di questo parleremo tra un po’.

Occupiamoci, ora, delle ricerche che effettivamente gli hanno fatto guadagnare un premio Nobel. Innanzitutto, precisiamo come egli è riuscito nell’impresa di estrarre DNA antico e analizzarlo. Il mezzo fondamentale fu l’invenzione di nuove tecniche per l’estrazione di materiale genetico, di cui si occupò lui stesso. Ciò è anche un interessante spunto per soffermarci a riflettere sul ruolo che l’innovazione tecnica e tecnologica ha anche nella stessa ricerca scientifica. Al giorno d’oggi, in particolare, questa ricopre una posizione di rilievo, poiché, arrivati a questo punto, in cui i fenomeni osservabili dall’uomo con i suoi cinque sensi sono stati pressoché analizzati interamente, solo un potenziamento dei sensi stessi e delle capacità analitiche umane può portare a rivoluzioni in ambito scientifico, compreso quello biologico. E questo può avvenire solo con l’evoluzione della tecnologia e l’analisi dati computerizzata, che ampliano gli strumenti a disposizione e conseguentemente le opportunità.

Chiusa questa breve, ma non insignificante, parentesi cerchiamo di capire cosa è riuscito a fare Svante Pääbo con decine di anni di perfezionamento di queste nuove tecniche, volto a ridurre il più possibile la contaminazione del DNA con agenti provenienti dall’ambiente. Egli fu il primo a riuscire nell’intento di sequenziare il DNA di un Homo Neanderthalensis, ponendo le basi per i successivi studi, ancora in corso, sulle cause, anche genetiche, che permisero all’Homo Sapiens di surclassare il suo “parente” di Neanderthal. Proprio così: parente. Scordatevi tutto ciò che avete letto sui vostri libri delle elementari che presentavano i Neanderthal come antenati dei Sapiens, perché non è così. Questi erano una vera e propria specie Homo a sé stante, che, anziché svilupparsi in Africa, poneva le sue radici in Europa. Dalle analisi effettuate sul nostro DNA confrontato con quello dei Neanderthal si è scoperto che circa il 5% del genoma umano deriva proprio da questi ultimi e, quindi, ciò ci indirizza verso l’ipotesi, ormai pressoché assodata come vera, che ci sia stata un’ibridazione tra le due specie, dovuta alla migrazione dei Sapiens anche in Asia ed Europa orientale, a cui successe ovviamente un’ulteriore espansione.

Homo di Denisova

Da tutta questa serie di scoperte straordinarie, possiamo comprendere cosa fu veramente l’evoluzione umana, ossia non un’unica via verso sempre maggiore complessità, ma continue mutazioni che portarono alla nascita di diverse specie di Homo, che tutte, a loro modo, contribuirono a modellare l’essere umano per come lo conosciamo oggi. La stessa rappresentazione grafica della storia evolutiva come un albero ramificato può far riflettere sull’attuale mondo scientifico. Infatti, la scienza ormai non è più un campo rigidamente suddiviso in branche, ma queste comunicano sempre più, tant’è che spesso una scoperta di un ambito può rivoluzionarne completamente un altro. La stessa ricerca non può più reggersi in piedi solo grazie all’attività condotta da singoli scienziati geniali, ma sempre più importante è il lavoro in equipe, in cui tutti contribuiscono alla riuscita di progetti ambiziosi, a cui lavorano decine, se non centinaia di ricercatori di tutto il mondo.

Arriviamo ora al punto che tutti attendete fin dall’inizio: la scoperta di una nuova specie di Homo, ossia i Denisova. Il loro nome deriva da una grotta dei monti Altaj, in Siberia, in cui Svante Pääbo e il suo team trovarono un resto di un individuo femmina di circa tredici anni, chiamata poi Denny. Ciò che rende l’osso di falange ritrovato incredibile è che appartiene ad un individuo nato dall’ibridazione di una madre Neanderthal e un padre appartenente proprio a quella che poi si rivelerà la specie Denisova. Il fatto ancora più meraviglioso è che Denny probabilmente è un ibrido di prima generazione, in quanto presenta ben il 40% di DNA denisovano e un ulteriore 40% neanderthaliano con cromosomi per metà appartenenti a una specie e per metà all’altra. Il fatto che ad essere ritrovato fu proprio un ibrido di prima generazione ci porta a pensare più che ad un caso fortunato, ad una certa frequenza di eventi di questo tipo. Inoltre, abbiamo testimonianza di ibridazioni anche tra Sapiens e Denisova, poiché alcune popolazioni asiatiche presentano nel loro genoma proprio parte di quello denisovano.

Ora concludo questo piccolo spazio dedicato all’affascinante mondo dell’evoluzione invitando tutti voi a soffermarvi almeno qualche minuto a riflettere sulla straordinarietà degli organismi viventi, che da “semplici” unicellulari si sono evoluti fino a giungere alla complessità morfologica e conoscitiva umana.

Vittoria Zaghen, 3D liceo scientifico