Giornalino d'istituto Euridice

DCA, È ORA DI PARLARNE

Un sondaggio tra gli studenti su cibo, corpo e DCA

La Pandemia ha modificato le nostre vite in moltissimi modi, che scopriamo e con cui ci rapportiamo ogni giorno. Costantemente vengono fatte ricerche e indagini per capire quanto è cambiato il nostro modo di vivere negli ultimi due anni e quali sono state le conseguenze. Ma, purtroppo, oltre agli aspetti più eclatanti e che sono sotto gli occhi di tutti, il Covid ha lasciato anche segni su di noi che sono visibili solo dopo un’osservazione più attenta. L’isolamento, la mancanza di interazioni sociali, l’impossibilità di poter vivere le esperienze tipiche dell’adolescenza hanno portato infatti ad un aumento di molti malesseri legati alla sfera psichica dei giovani. 

Dall’inizio della Pandemia, secondo i dati rilasciati dalla Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare, i casi di DCA sono aumentati rispetto agli anni precedenti più del 30% ed è diminuita inoltre la fascia media d’età delle persone affette, che è ora intorno a 13-16 anni. Questa situazione è inoltre aggravata da un aumento dei ricoveri dei pazienti affetti da DCA, dall’assenza di strutture adatte al trattamento di queste problematiche e, anche, dalla mancanza di un’adeguata informazione e sensibilizzazione su questo tipo di disturbi. 

Questa tematica, come molte altre riguardanti la salute mentale, viene spesso messa in secondo piano rispetto ad altre questioni, considerate più urgenti e importanti, anche a causa della complessità che spesso c’è dietro di essa. Ma alla luce della sua nuova e rapida espansione, è probabilmente ora che si inizi a discutere di questa epidemia dentro la Pandemia. 

Durante il mese di aprile è stato chiesto agli studenti delle classi terze, quarte e quinte del nostro Istituto di rispondere ad alcune domande, poste in un questionario dal titolo Cibo, corpo e DCA. Lo scopo del questionario era quello di indagare prima di tutto quale fosse il rapporto che i ragazzi della nostra scuola hanno con il cibo e il proprio corpo. Si è cercato però anche di scoprire quanta sensibilizzazione è stata fatta finora all’interno del nostro Istituto riguardo alla tematica dei Disturbi del Comportamento Alimentare, quanto essa sia effettivamente conosciuta dai ragazzi, quanto interesse c’è nel trattare questi argomenti e, infine, quanto questo tipo di disturbi sia diffuso nella nostra realtà. 

​​Questo questionario nasce dalla consapevolezza che il primo modo per affrontare un problema è parlarne ad alta voce, guardarlo in faccia, capire che non siamo spesso gli unici ad averlo e che, soprattutto, nonostante la nostra difficoltà, fatica e fragilità davanti ad esso, un modo per uscirne c’è sempre. 

L’elaborazione approfondita dei dati raccolti verrà fatta nel corso dell’estate, cosicché la pubblicazione e divulgazione di essi sia la più completa e corretta possibile. Ma già da una prima analisi delle risposte ricevute è possibile avere un quadro di ciò che provano gli studenti di questo Istituto riguardo a queste tematiche. 

La sintesi delle risposte non è semplice, perché, come è noto, è impossibile catalogare la vita umana. La nostra natura è complessa, piena di pieghe e angoli nascosti e non può essere divisa in buona o cattiva, giusta o sbagliata, ma può essere semplicemente definita come umana. Che rapporto hanno gli studenti della nostra scuola con il cibo e con il proprio corpo? Un rapporto complicato, vario, altalenante, a volte molto positivo, altre ostile. Il cibo è visto dalla maggior parte degli alunni come buono, una necessità e un piacere, ma da alcuni anche come spaventoso, un’ansia e un’ossessione. Il proprio corpo è visto invece in ugual misura sia come bello, unico e sano, ma anche come brutto, sproporzionato e una fonte di disagio. Inoltre, la maggior parte delle persone ha risposto di aver trattato poco o per nulla il tema dei DCA durante gli anni di Liceo, sebbene l’interesse nel farlo sia molto alto. Ma le informazioni più interessanti si possono ritrovare soprattutto nei commenti lasciati al termine del questionario dai ragazzi. La prima cosa che si può leggere è infatti un bisogno di essere semplicemente ascoltati. 

Oltre a coloro che affermano di avere un DCA o un brutto rapporto con il cibo e con il proprio corpo, molti ragazzi hanno ammesso che, nonostante non ritengano di vivere l’alimentazione e il proprio corpo in maniera negativa, vorrebbero trattare maggiormente queste tematiche, credendo che sia giusto e interessante proporle anche solo per risolvere tutti i dubbi che spesso si hanno per semplice mancanza di informazione. 

È però giusto sottolineare che c’è anche un certo numero di ragazzi che ha espresso di provare un disagio proprio a causa di queste tematiche, ma che spera di poter trovare un aiuto per risolvere queste difficoltà, iniziando anche finalmente a trattare questi argomenti all’interno della nostra scuola, attraverso percorsi con figure specializzate come nutrizionisti, medici, psicologi, ma anche con persone che hanno vissuto in prima persona questi disturbi. 

Quando ho iniziato a pensare a questo questionario, l’ho fatto anche perché io per prima sentivo l’esigenza che queste tematiche fossero affrontate nella quotidianità scolastica, perché ho potuto vedere quanto esse siano in grado di privare una persona della propria vita. Non mi sto riferendo solamente al significato più letterale della frase, ma anche ad uno degli aspetti principali che caratterizza i DCA, di cui spesso tuttavia non si parla: la perdita di quello che si è. I Disturbi Alimentari, infatti, non inducono chi ne soffre a combattere una guerra solo nei confronti del cibo e del proprio corpo, ma soprattutto nei confronti di tutto quello che riguarda la vita e il proprio essere. Essi allontanano dai propri interessi, dalle passioni, dalle amicizie, dalla famiglia e, infine, da sé stessi. Fanno perdere la propria identità e credere che la felicità e la bellezza possano risiedere in un’unica cosa, quando la realtà è molto più complessa. Sono tuttavia convinta, come alcuni ragazzi hanno raccontato nel questionario, che si possa anche affrontarli e ritrovare sé stessi, uscendo dal baratro anche dopo aver toccato il fondo, per quanto sia difficile e per quanto farlo richieda forza e coraggio. 

Come ha scritto una ragazza nel commento lasciato al termine del questionario, il primo passo è però la consapevolezza, un’arma potentissima, facile anche da innescare se solo viene data la possibilità di farlo. Questa possibilità credo che dovrebbe essere offerta prima di tutto nell’ambiente in cui passiamo la maggior parte del nostro tempo: la scuola. Sono convinta che essa non sia solo il posto dove veniamo istruiti, ma anche il luogo dove dovremmo crescere e imparare ad essere gli adulti del domani. Crescere vuol dire anche imparare ad accettare il nostro essere prima di tutto umani, comprendendo, quindi, che ci possano essere aspetti di noi che, per quanto naturali, ci fanno paura. Per superare però queste difficoltà abbiamo bisogno dei giusti mezzi, che sono innanzitutto l’informazione e il confronto. La scuola ha il potere di fornici questi mezzi e creare l’occasione per affrontare questo genere di tematiche.  

Il rapporto con il cibo e con il proprio corpo è complesso a tutte le età, ma spesso lo è perché, come per molte altre tematiche che sono alla base del nostro essere umani, non se ne parla abbastanza per far sì che il rapporto possa diventare almeno un po’ più facile. Queste sono tuttavia questioni umane di cui non bisognerebbe preoccuparsi o vergognarsi, ma che andrebbero semplicemente trattate come parte del nostro essere e vissute quindi come tali. Molte delle persone affette da DCA non chiedono aiuto, o non lo accettano, proprio per il senso di inadeguatezza che provano o la paura di non essere capiti. Anche per questo c’è quindi bisogno che si inizi a discutere di più su queste tematiche, che non sono nulla di disdicevole o da tenere nascosto, ma che anzi riguardano molte più persone di quello che si pensa. Viviamo infatti in una società in cui i disturbi alimentari sono considerati culture-bound syndromes, ovvero disturbi determinati proprio dalla nostra cultura, che fornisce un terreno fertile per il loro sviluppo. A maggior ragione, dunque, questo argomento potrebbe essere affrontato partendo da vari argomenti, che non hanno necessariamente a che fare con la salute fisica, ma che riguardano anche il ruolo del corpo, i concetti di femminilità e mascolinità, il bombardamento delle immagini che vediamo sui social, ciò che associamo al concetto di salute e benessere e molti altri aspetti. 

Per contrastare la diffusione di questi disturbi è quindi essenziale fare un lavoro di prevenzione anche nelle scuole, così da consolidare i fattori protettivi, ovvero quegli elementi che permettono alle persone di non ammalarsi nonostante i fattori di rischio, ma anche da istruire coloro che vivono in una situazione di potenziale rischio a riconoscere i sintomi di questi disturbi e i modi per superarli. 

Credo sia essenziale, oltre a iniziare a proporre incontri, esperienze e momenti di confronto e informazione con medici, psicologi, nutrizioniste e associazioni, cominciare a porre in generale maggiore attenzione sul benessere mentale di giovani e non. Bisogna partire insegnando cosa vuol dire davvero vivere bene, spiegando che è possibile trovare un equilibrio con tutti gli aspetti della vita, incentivando a concentrarsi sul proprio benessere, a coltivare passioni, interessi e relazioni sane, ad avere la capacità di gestire le difficoltà, concependole come parti del nostro percorso, ad essere in grado di meravigliarsi e, soprattutto, ad affrontare e mostrare le proprie emozioni, che in fondo non sono altro che questioni umane.

Ilaria Mussini, 4B liceo classico