Giornalino d'istituto Euridice

Capitolo 7: Il porto di Neapolis

7° Episodio del racconto a puntate: “Messaggio in bottiglia” – Stella Ferla

Capitolo 7

Il porto di Neapolis

Oggi è il 13esimo giorno di Cohiac, dopo soli 5 giorni di cammino, Santippo è giunto al porto di Neapolis. Lungo la strada ha affrontato le più terribili intemperie, le piogge scroscianti di quel periodo dell’anno, la brina ghiacciata distesa sui campi, così simile alla neve e quindi così ingannevole, la nebbia volatile e misteriosa che occulta le meraviglie dei paesaggi, e così via. Per via di tutti questi impedimenti naturali è stato un itinerario difficoltoso, ma non impossibile per un giovane ragazzo intraprendente e determinato. Ed infatti Santippo, ora, si trova al famoso porto di Neapolis. Il porto è in fermento, gli umili marinai sono indaffarati ad ormeggiare navi o a caricare merci, gli anziani e esperti pescatori si apprestano con pazienza a preparare le reti e le capienti ceste in vimini per la giornata, i figli di questi uomini giocano liberi e spensierati sui pontili tra allegre grida e scalmanati schiamazzi, i generali a capo della flotta sono concentrati e fermi nel sobillare alle prossime battaglie l’esercito della flotta, le navi non aspettano altro che di esser sguinzagliate per solcare la distesa blu del mare, oggi particolarmente mosso, agitato e schiumoso, pare quasi che ribolla, i gabbiani si librano nel cielo, solcano la brezza mattutina, e il sole dell’alba inizia timidamente a farsi largo all’orizzonte. Questo è ciò che ha davanti agli occhi Santippo: un piccolo mondo in fermento, un po’ confuso, mai quanto il grande universo dei pensieri e dubbi del giovane in questo istante. Deve assolutamente trovare un’imbarcazione che lo possa condurre in Sicilia o meglio ancora direttamente a Cartagine. In questo periodo, però, tutto è più complicato: le rotte commerciali con Cartagine sono interrotte a causa della guerra, quindi il messo non potrebbe rivolgersi ad alcun mercante, i pescatori non si allontanano molto dal loro porto sicuro per paura di imbattersi in una sanguinosa battaglia navale, quindi anche questa modalità è esclusa. La terza possibilità è quella di immischiarsi nell’esercito navale, ma sarebbe quasi un suicidio, le possibilità di riuscita sarebbero davvero infime. L’unica opportunità valida, seppur rischiosa, è quella di rivolgersi ad un povero pescatore e farsi condurre fino alle coste africane in cambio di denaro. Santippo però in quel momento realizza che non ha a disposizione un quantità di denaro sufficiente a corrompere un marinaio ed inizia a riflettere su cosa avrebbe potuto offrire. In realtà ha già la soluzione, ma continua a rimuginare sulle altre possibilità nella speranza di scartare quella che al momento sembra l’unica strada. 

Nel frattempo il sole è già alto ed illumina i volti degli stanchi operai portuali mattinieri. Santippo è rassegnato, nell’animo è pienamente consapevole che per convincere davvero uno di quegli avidi marinai ad aiutarlo sarà costretto a cedergli il suo bene più prezioso: l’amuleto della famiglia Barak. La rassegnazione si è fatta strada, sospinta da una ventata di determinazione e di consapevolezza degna di un uomo più maturo rispetto all’età del giovane. 

A quel punto Santippo si avvicina cautamente a passi incerti e titubanti ad un pescatore canuto, dal volto scavato dalle rughe della vecchiaia: è un uomo che sa il fatto suo, o meglio questa è l’impressione che quegli occhi sottili, sicuri e scaltri fanno al messaggero. Il dialogo tra i due è una marcata contrapposizione tra la sicurezza sfrontata dettata dal sospetto dell’anziano uomo e la balbuzie frutto dell’incertezza nella voce di Santippo. Quest’ultimo, non senza inutili giri di parole, illustra la proposta dell’accordo al pescatore e non tarda a mostrargli l’amuleto. La cessione di questo rappresenta una decisione difficile per il giovane, quel gioiello è l’unico appiglio al quale si può aggrappare per ricordare l’uomo che per lui è stato come un padre, è colui che lo ha raccolto dalla strada, gli ha fornito dei vestiti, del cibo ed un tetto tutt’altro che modesto, ma soprattutto un amore vero che il ragazzo non aveva mai sperimentato prima. La sua perdita è una ferita lancinante, più dolorosa di quelle fisiche procuratosi nel massacro a Roma. Il dolore causa una perdita della razionalità, conseguenza della quale può essere anche l’attaccamento a quelli che sono e rimarranno sempre solo oggetti, indipendentemente da coloro che ne sono stati proprietari. La mente di Santippo non è completamente lucida davanti ad un avvenimento simile, lui si era infatti prefissato di conservare quel prezioso amuleto fino alla sua morte ed ora invece si ritrova a doverlo cedere ad uno sconosciuto, il quale, per altro, dubita dell’autenticità del raffinato monile e lo accetta con uno sbuffo che tenta di celare invece la soddisfazione di un avido uomo interessato solo al denaro, in tempi di carestia come questi. 

Mettendosi in tasca l’amuleto, il canuto pescatore sancisce il patto, l’accordo è fatto e non si può più tornare indietro. 

Il viaggio ha inizio, a bordo di una modesta imbarcazione sgangherata, dove le risorse di cibo per la traversata sono state stipate a fatica. Il giovane non avrebbe mai pensato di trovarsi in una simile circostanza, si trova sospeso sulla superficie di quell’imprevedibile mostro blu che è il mare, con uno sconosciuto cittadino Romano, di cui non conosce nemmeno il nome. In fondo a che servirebbe sapere quale nome abbia deciso di affibbiargli alla nascita suo padre, visto che ora probabilmente nessuno gli si rivolge chiamandolo per nome, è un uomo solo, altrimenti avrebbe avvisato la moglie o i figli prima della partenza. Il nome non sarà certo utile a Santippo per comprendere qualcosa di più di quel misterioso, silenzioso ed intrigato vecchio. Al contrario la presenza di innumerevoli bottiglie di forti liquori costituisce già un importante indizio sui suoi vizi e sulla sua affidabilità. 

Stella Ferla – 3D Liceo Scientifico